LA DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE E BECHER

Articolo estratto da “ Natura e Benessere” F.N. Editrice S.r.l

Periodico trimestrale di medicine Complementari, Terapie Naturali, Alimentazione, Tecniche e Metodologie, Ecologia Ambientale e Termalismo

anno 2-  N. 4- 2002 (pagg. 25-27)

di Laura Solito

 

Le distrofie muscolari di Duchenne e Becker sono patologie muscolari progressive frutto generalmente di disordini ereditari, presenti sin dal primo stadio dello sviluppo embrionale; tuttavia è raro che i primi segnali di debolezza muscolare insorgano prima del secondo o terzo anno di vita. Gli studi intorno a questa grave patologia stanno finalmente approdando in questi ultimi anni a qualche incoraggiante risultato supportato da una mirata ricerca sollecitata da attivissime associazioni a diffusione mondiale.

 

La distrofia è la crescita anomala di un tessuto causata da un irregolare nutrimento dello stesso. Le forme più conosciute sono le distrofie muscolari, malattie progressive e degenerative che colpiscono il muscolo scheletrico isolatamente o in associazione al muscolo cardiaco. I sintomi possono essere di gravità variabile e sono costituiti da debolezza, atrofia muscolare progressiva ed aumento della CK (creatinchinasi) sierica che può raggiungere valori fino ad oltre 10-20 volte la norma. La forma più frequente e più grave  di distrofia è la malattia  di Duchenne.

Questa patologia prende il nome dal neurologo francese Guillaume Duchenne (1806-1875) che la descrisse verso la metà del XIX secolo (era già nota agli egizi che ne rappresentarono le manifestazioni nei geroglifici). La malattia è dovuta alla mancanza di una proteina, la distrofina.

La carenza è causata da un difetto del gene (nel cromosoma X) che codifica la proteina.

Nel 1987,  fu scoperto  che il gene è  localizzato sul Xp21, ed è il  più vasto tra quelli sin ad ora identificati. Poiché le donne hanno due cromosomi X, la malattia colpisce praticamente solo i maschi e viene perciò trasmessa ai figli da madri portatrici, un terzo dei casi non è trasmesso dalla madre, ma è dovuto a nuove mutazioni.

Le distrofie muscolari di Duchenne (DMD) e di Becker (DMB) sono patologie muscolari progressive che si caratterizzano per una assenza totale (DMD) o parziale (DMB) della distrofina in particolare nel muscolo striato e liscio. La distrofina è una proteina citoscheletrica, localizzata a livello della membrana plasmatica, ed è parte integrante di un complesso glicoproteico rappresentato fondamentalmente dal distroglicano e dal sarcoglicano. Il complesso distrofina-glicoproteine associate (DAG) fa parte poi di un’ampia famiglia di proteine (che costituiscono il citoscheletro, cioè “l’intelaiatura di sostegno” della fibra muscolare), le quali interagiscono fra di loro direttamente o indirettamente e hanno la funzione di mantenere la stabilità e l’integrità della membrana cellulare durante la contrazione muscolare. Questo complesso DAG sembra cruciale nel mantenere un legame tra il compartimento del citoscheletro intracellulare e la matrice extracellulare per garantire così, l’integrità della membrana cellulare che viene sottoposta a sollecitazioni elastiche durante i processi di contrazione-decontrazione delle fibrocellule muscolari. Le mutazioni che coinvolgono il gene per la distrofina possono consistere in grossolani riarrangiamenti, come le delezioni, oppure mutazioni puntiformi o microdelezioni.

La distrofina svolge quindi un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’unità strutturale  muscolare; essa fa da “ponte” tra le membrane delle cellule dei  muscoli e, come un laccio, permette il movimento  coordinato dei filamenti di actina e miosina, (proteine fibrose che contraendosi fanno muovere i muscoli). Senza distrofina le membrana diventa instabile, si aprono dei varchi in cui entrano delle sostanze estranee; a seguito di ciò aumenta la pressione interna, che causa  la rottura della parete cellulare, ed il contenuto della cellula muscolare viene riversato all’esterno; a questo punto interviene il sistema immunitario che provvede all’eliminazione degli elementi che riconosce come estranei, ripulendo però una zona più vasta di quella necessaria ed aggravando così il danno. Le cellule del muscolo ormai morte, vengono eliminate e rimpiazzate da cellule di tipo connettivo, tessuto, che non possiede una specifica funzione nel muscolo se non quella di riempimento, formando una cicatrice. Con il progredire di questo effetto, i giovani colpiti non riescono più a muoversi fino a arrivare alla completa perdita dell’attività muscolare che comporta anche problemi respiratori. L’incidenza della DMD è alta, con 1/3200 maschi nati vivi, mentre quella per il Becker è di 1/12000 maschi nati vivi.

La DMD e la DMB essendo disordini ereditari sono presenti sin dal primo stadio dello sviluppo embrionale, ma è raro che prima del secondo o terzo anno di vita insorgano i primi segnali di debolezza muscolare. La DMB, che riconosce un deficit parziale di distrofina, ha una sintomatologia molto variabile, caratterizzata da forme severe, simili alla DMD, fino a forme con semplici crampi e mialgie, cardiomiopatie isolate oppure una condizione asintomatica per tutta la vita. Nella DMD, con totale assenza della distrofina, si ha un frequente ritardo di acquisizione della deambulazione nel primo anno di vita e la perdita della stessa verso i 9 e gli 11 anni di età, la morte sopravviene intorno ai 20 anni. La  malattia si manifesta e colpisce inizialmente i muscoli profondi delle cosce e delle anche, causando difficoltà nel camminare. Il bambino presenta un’andatura dondolante e tende a camminare sulle punte, ha difficoltà a rialzarsi da terra, a saltare, a salire le scale e, in generale, si stanca con facilità. Con la crescita aumenta l’indebolimento delle fibre muscolari, finché riesce a stare in piedi o  camminare  presenta una esagerata curvatura in avanti del tronco, assume un atteggiamento lordotico, nel tentativo di bilanciare la debolezza dei muscoli pelvici, inoltre spesso accade che cammini sulle punte dei piedi a causa della retrazione del tendine del tallone (tendine D’Achille). Generalmente verso gli 11 anni il bambino perde la capacità di camminare ed è costretto  a muoversi su una sedia a rotelle. L’utilizzo della sedia a rotelle implica un uso maggiore degli arti superiori, questo favorisce la degenerazione dei muscoli delle braccia fino a perderne completamente l’utilizzo intorno ai vent’anni; progressivamente, la degenerazione dei muscoli colpisce il cuore e i muscoli respiratori.

Anche se tutti i muscoli vengono colpiti dalla distrofia, il danno più grave è dovuto alla degenerazione di muscoli vitali dell’organismo, soprattutto i muscoli respiratori ( diaframma e muscoli intercostali) ed il cuore. I muscoli respiratori si indeboliscono progressivamente fino a rendere necessaria l’assistenza respiratoria. Poiché il cuore è un muscolo, risente anch’esso dei danni causati dalla DMD, e problemi cardiaci sono abbastanza comuni e piuttosto severi. Nonostante questo serio quadro fisico nella maggior parte dei casi le capacità mentali  di queste persone non sono alterate.

All’esame clinico, uno dei criteri per cui il medico può sospettare la DMD o la DMB è il cosiddetto segno di Gowers, cioè il modo particolare con cui il paziente distrofico si alza da terra o dalla posizione seduta: il tronco è flesso verso le cosce e il paziente si alza utilizzando soprattutto la forza delle braccia poste sulle ginocchia.

Alcuni esami di laboratorio permettono di rilevare la presenza di queste distrofie. Con un semplice prelievo del sangue si può verificare la quantità sierica della creatinfosfochinasi: si tratta di un enzima che normalmente è presente solo nel muscolo, ma che viene liberato nel sangue quando esiste danno muscolare (anche dovuto a cause diverse dalla DMD/DMB).

Due accertamenti più precisi sono la biopsia muscolare – che consiste nell’analisi al microscopio di un minuscolo pezzo di muscolo, prelevato sotto anestesia-  e il test del DNA; quest’ultimo permette di stabilire con esattezza se esistano anomalie a carico del gene per la distrofina. La diagnosi molecolare si può effettuare anche su campioni di villi coriali, il che permette l’identificazione della malattia entro il terzo mese di gestazione. Il carattere ereditario della malattia si identifica mediante la ricostruzione dell’albero genealogico.

Attualmente non esiste una cura per queste distrofie. L’unica terapia è quella di conservare, nelle migliori condizioni fisiche i muscoli, le ossa e le articolazioni. Un valido aiuto giunge dalla fisiochinesiterapia generale, con esercizi di stiramento che mirano a conservare la lunghezza dei muscoli e la flessibilità delle articolazioni; i movimenti praticati sono molto dolci per non ledere la già debole struttura muscolare, talvolta si utilizzano per gli arti inferiori degli ausili, come docce notturne o tutori, in particolare quando sopraggiunge la retrazione del tendine Achilleo. La fisioterapia respiratoria e l’idroterapia aiutano a mantenere una buona funzionalità respiratoria;  l’uso della carrozzina conduce ad un indebolimento dei muscoli toracici e diventa più difficile eliminare le secrezioni.

Oggi, la ricerca scientifica a quattordici anni dall’identificazione del gene per la distrofina e a quindici dalla proteina, continua incessantemente a lavorare, e diversi sono gli indirizzi nei quali volge il suo sforzo.

 Alcuni ricercatori hanno indirizzato i loro studi verso la “terapia genica”, che consiste nel rilascio del gene per la distrofina, all’interno delle fibre muscolari,  utilizzando come trasportatori virus modificati, ciò indurrebbe le cellule a produrre a  produrre distrofina funzionale.

Queste ricerche sono svolte principalmente all’università di Pittsbourg, ed in particolare l’equipe del dott. Xiao-Xiao ha dimostrato quale è il contenuto minino del gene che “codifica” per la distrofina individuando una peculiare sequenza di DNA, molto piccola, contenente le informazioni sufficienti per far produrre la proteina alle cellule muscolari; questa sequenza è poi stata veicolata nei muscoli dei ratti utilizzando un  “virus adeno associato” (AAV) il virus molto sicuro ed efficiente, che possiede  la particolarità di non provocare malattie nell’uomo anche nel suo stato naturale e di generare una minima risposta immunitaria, i risultati della sperimentazione sono stati incoraggianti e alimentano la speranza di poter utilizzare la tecnica, entro pochi anni, in trial clinici.

Una nuova speranza è rappresentata dalla teoria cellulare, per la quale da molti anni lavorano vari gruppi di ricerca in America ed Europa. Prima di iniziare questi studi, si pensava che la capacità di rigenerazione autonoma del muscolo fosse modesta e delegata solo da un numero limitato di cellule, chiamate “cellule satelliti muscolari o mioblasti”. La scoperta che nel midollo osseo, oltre a cellule staminali emopoietiche, ci fossero anche cellule staminali che erano perfettamente in grado di diventare fibre muscolari, aprì una strada mai percorsa fin a quel momento. Dopo gli scarsi risultati ottenuti dal trapianto di midollo osseo, gli  ultimi studi sono rivolti a capire le motivazioni che limitano l’applicazione della terapia cellulare ed in questo panorama ed in questo panorama il  gruppo del prof. Cossu ha compreso che i progenitori miogenici provenienti dal midollo, derivano da cellule staminali associate allo sviluppo del tessuto embrionale, che sono pluri-potenti e che la loro posizione è legata al tessuto a cui è destinato il vaso sanguigno, quindi mantengono la capacità di differenziarsi in un altro tipo di cellule se sono trasferite in un differente ambiente dove è in atto uno sviluppo tissutale. Il progetto futuro è quello di prolungare la vita alle cellule progenitrici pluripotenti, di moltiplicarle in vitro, infettarle con nuovi vettori e quindi reinserirle nel paziente tramite la circolazione generale.

Un altro approccio terapeutico è fornito dall’Utrofina, chiamata anche DRP (Dystrophin Related Protein), è una proteina codificata da un gene presente sul cromosoma 6, caratterizzata da un’elevata omologia con la distrofina. Utrofina e distrofina sono due proteine molto simili e pare che abbiano una stessa funzione nell’organizzazione del sarcolemma. L’utrofina non è però espressa nel muscolo normale ma solamente nelle fasi immature e nelle fibre in rigenerazione.

La prof. Kay Davis dell’università di Oxford, lavora da alcuni anni sul ruolo dell’utrofina come possibile sostituto della distrofina, ed i suoi studi le hanno permesso di osservare che introducendo il gene dell’utrofina, in topi-mdx subito dopo la nascita, la struttura muscolare migliora. E’ anche stato sperimentato che aumentando i livelli di utrofina non di riscontrano effetti tossici. Questi risultati vengono utilizzati per sviluppare, in futuro, dei farmaci che possano aumentare i livelli di utrofina nei pazienti.

La ricerca scientifica in questo ambito sembra comunque orientata a procedere nel suo difficile percorso; tra le varie Associazioni che la sostengono vi è Parent Project”, un’ associazione a diffusione mondiale e senza fini di lucro, che ha lo scopo di diffondere la conoscenza della DMD e della DMB, di migliorare il livello di informazione delle famiglie coinvolte, di sensibilizzare l’opinione pubblica, e di raccogliere fondi da destinare alla ricerca in tutto il mondo. Questa associazione, della quale esiste una sede anche in Italia, è condotta da genitori i cui figli sono affetti da distrofia. Parent Projet si pone come obbiettivo quello di identificare e finanziare progetti di ricerca in tutto il mondo per favorire ed incoraggiare una collaborazione mondiale per la Distrofia Muscolare di Duchenne e di Becker, allo scopo di trovare  un trattamento o una cura  per i propri figli nel minor tempo possibile, perché  in questi casi il tempo è un grande tiranno.

 

Duchenne Parent Project Italia

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